Benvenuti, afgani!
Sono stati accolte grazie a Caritas Senigallia nel mese di settembre 18 persone afgane in fuga dal loro Paese, in mano dai talebani, dopo un periodo di quarantena obbligatorio a Roma. Per motivi diversi alcuni di loro hanno collaborato con il contingente italiano in Afghanistan durante gli anni di missione e si sono trovati costretti ad abbandonare la propria patria per questioni di sicurezza.
Il 9 settembre sono arrivati due nuclei, di sei e quattro persone, con bambini piccoli, accolti nel progetto SAI (Sistema di accoglienza e integrazione), gestito da Caritas Senigallia per conto dell’Unione dei Comuni Terra della Marca Senone. Sono scappati dalla città di Herat a causa del nuovo regime dei talebani e, nell’ottica di estrema cura e attenzione ai rifugiati accolti del SAI, verrà data loro la massima priorità nell’assicurare i beni primari, nel garantire l’apprendimento della conoscenza della lingua italiana, nel favorire l’integrazione scolastica dei bambini, nel facilitare la socialità e l’inserimento comunitario, oltre a quello lavorativo. Accogliere a 360° è infatti fondamentale per la riuscita del progetto e per il benessere dei rifugiati accolti.
Il 17 settembre sono arrivati altri due nuclei familiari, sistemati con accoglienza straordinaria in una struttura Caritas dell’entroterra, di una coppia senza figli e una famiglia con figli. Come ha espresso il Papa per la Giornata mondiale del migrante e del rifugiato (domenica 26 settembre), è bene muoversi “verso un noi sempre più grande”: è bene esprimere preoccupazione per le persone vulnerabili in movimento, pregare per loro mentre si trovano ad affrontare enormi sfide e comprendere le opportunità offerte dalla migrazione. Una giornata mai così importante, alla luce dell’emergenza umanitaria che sta colpendo la popolazione civile dell’Afghanistan e che costringe più di mezzo milione di persone, uomini, donne, anziani e bambini, a fuggire violentemente dal proprio Paese, con pochi bagagli e un pesante timore per il proprio futuro.
Un tema che ci interessa tutti, come ha dimostrato la grande partecipazione di pubblico in sala e in streaming per la serata “L’Afghanistan che ci aspetta: conoscere e capire una nazione e la sua storia”, di giovedì 16 settembre al Teatro Portone. Daniele Albanese di Caritas italiana, grazie a una lunga esperienza nel campo di migrazione e corridoi umanitari, ha infatti cercato di far comprendere al pubblico cosa sta accadendo nell’Asia centrale. Durante la serata Albanese ha offerto interessanti chiavi di lettura per capire l’attualità, spiegando i fattori che hanno portato alla destabilizzazione dell’Afghanistan.
Per esempio il fatto che, posto nel cuore dell’Asia, sia un Paese di transito commerciale ed economico, che confina con potenze come Iran, Russia e Cina e che soffre insieme al Pakistan la linea di confine, inventata e mai accettata, tracciata su una mappa senza considerare la realtà etnica esistente. Oppure la questione geografica che fa dell’Afghanistan un territorio difficilmente controllabile per via di deserti, vallate e alte montagne, che nel tempo ha creato controversie irrisolvibili tra campagna e città e impedito interventi esterni efficaci: la missione ISAF per esempio controllava solo i capoluoghi di regione, lasciando allo sbando enormi zone afgane. Fondamentale nel tracollo della situazione del Paese è la grave divisione etnica che non concede un buon governo: oggi in Afghanistan ci sono 50 etnie, 30 lingue parlate e una maggioranza etnica, quella pashtun, che è la più rappresentata ma non quella prevalente.
La frammentazione del Paese è indicata come causa della debolezza del potere centrale, fin dai tempi della repubblica: questa diversità interna ha portato alla nascita di gruppi insurrezionali come i talebani e Al Qaeda. Si aggiunga a questo il conflitto storico tra sunniti e sciiti, lo scontro dell’Islam con la modernità e l’imperialismo americano, ma anche la carenza di un sistema scolastico e di una classe media con strumenti adeguati per governare il Paese. Non va dimenticato che l’Afghanistan produce ed esporta il 90% dell’’oppio mondiale e che il rapporto con le potenze esterne non è di alleanza ma di interessi. Arabia e Usa hanno armato e finanziato gruppi insurrezionalisti negli anni 80, scatenando una guerra civile da cui prendono origine i talebani che oggi dettano legge. Il flusso di profughi alla ricerca di un futuro iniziò proprio allora, in un’incessante fuga che oggi è nuovamente esplosa.