Dossier informativo migrazioni forzate e accoglienza Chiesa Italiana

6 Maggio 2016
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Dossier informativo migrazioni forzate e accoglienza Chiesa Italiana

1- Le parole di Papa Francesco
Dal 18 al 21 aprile si è tenuto il Convegno Nazionale delle Caritas Diocesane Italiane. Dopo 3 giorni di confronto le Caritas Diocesane sono state ricevute in udienza dal Santo Padre.
Il Papa alle Caritas: migrazioni vanno gestite con politiche lungimiranti
Oggi il Papa ha ricevuto in udienza le Caritas diocesane riunite a Roma per il 38esimo convegno nazionale. Nel suo discorso ha fatto riferimento anche al tema dei migranti. Rivolgendosi ai numerosi operatori Caritas ha detto: “Desidero incoraggiarvi anche a proseguire nell’impegno e nella prossimità nei confronti delle persone immigrate. Il fenomeno delle migrazioni, che oggi presenta aspetti critici che vanno gestiti con politiche organiche e lungimiranti, rimane pur sempre una ricchezza e una risorsa, sotto diversi punti di vista. E’ dunque prezioso il vostro lavoro che, accanto all’approccio solidale, tende a privilegiare scelte che favoriscano sempre più l’integrazione tra popolazioni straniere e cittadini italiani, offrendo agli operatori di base strumenti culturali e professionali adeguati alla complessità del fenomeno e alle sue peculiarità”

Nel suo saluto al Santo padre, il presidente di Caritas Italiana, card. Francesco Montenegro, ha detto: «una Chiesa di misericordia è necessariamente estroversa, in uscita, senza pareti né tetto, aperta a tutti e capace di accogliere tutti, di coinvolgere e far sentire tutti soggetti, e non oggetti, di cura». Le visita del Papa a Lampedusa e a Lesbo, ha sottolineato l’arcivescovo di Agrigento, «è la storia più evidente, ma non l’unica», dell’atteggiamento solidale della Chiesa, «e le sue parole e azioni in queste due isole devono essere per tutti noi stimolo a andare oltre il fatto di cronaca e diventare il verbo che dobbiamo sempre declinare affinché in ogni situazione di sofferenza impariamo a dire “qui c’è Dio”».

Alle parole del Santo Padre di aggiungono quelle del Cardinale Luis Antonio Tagle – presidente di Caritas Internationalis
“In nome dei migranti forzati, specialmente gli anziani, gli ammalati e i bambini: cercate di sentire la voce della gente che soffre. Toccate le mani della mamme, sentite l’odore delle famiglie. Forse la realtà, che è più grande delle idee e delle teorie ideologiche, può toccare anche il cuore e la coscienza. Respingere i profughi, ci ha detto il Papa è un atto di guerra, un altro capitolo di quella guerra mondiale. Troppo spesso le risposte concentrano la propria attenzione nella costruzione di muri e barriere piuttosto che mettere mano con coraggio alle cause di quei fenomeni che si vogliono combattere”

2- La situazione delle accoglienze da parte della Chiesa Italiana
LA PRIMAVERA DEI PROFUGHI E IL RUOLO DELLA RETE ECCLESIALE IN ITALIA
A seguito dell’appello del Papa a estendere l’accoglienza dei richiedenti la protezione internazionale nelle parrocchie, nelle comunità religiose, nei monasteri e nei santuari e sulla base del Vademecum dei Vescovi italiani, abbiamo assistito a un grande movimento solidale che, però, in diversi casi fatica a trasformarsi in attivazione di accoglienze. In particolare, in alcune diocesi si riscontrano difficoltà da parte delle parrocchie ad avviare esperienze di accoglienza ed integrazione sul territorio. Per questo motivo la Caritas e la Migrantes stanno seguendo le diocesi al fine di orientare e sostenere questo slancio solidale in maniera più efficace.
Alla data del 15 aprile 2016, hanno risposto al questionario di rilevazione delle accoglienze inviato dalla Cei 196 diocesi, che ad oggi hanno attive 22.044 accoglienze così ripartite:

– 13.896 persone accolte in strutture convenzionate con le Prefetture- CAS (fondi ministero dell’Interno)
– 4.184 persone accolte in strutture SPRAR (fondi ministero dell’Interno)
– 3.477 persone accolte nelle parrocchie (fondi diocesani)
– 491 persone accolte in famiglia o in altre tipologie di accoglienza (fondi privati o diocesani)

3 – La situazione in Grecia, l’accordo con UE-Turchia, il Migration compact e la situazione in Siria

La situazione in Grecia e la rotta Balcanica – gli interventi Caritas
Le frontiere si sono chiuse, e decine di migliaia di persone sono rimaste bloccate in territorio greco, più di 13 mila solo nel campo di Idomeni, situato lungo il confine con la frontiera macedone. Da ormai più di sette mesi Caritas Hellas, con l’aiuto di Caritas Italiana e di tante altre Caritas Europee, è in prima linea in questa emergenza: ad oggi sono stati distribuiti oltre 80 mila pacchi alimentari, 40 mila kit igienici; inoltre quasi 8 mila persone hanno ricevuto generi di prima necessità (vestiti, coperte, impermeabili…), oltre 8 mila persone sono state accolte nei tre alberghi gestiti dalla Caritas greca tra Lesbos e Atene e più di 3 mila profughi hanno ricevuto un servizio di ascolto e orientamento.
Nel dossier allegato oltre ad una rappresentazione della situazione dei paesi potete trovare anche alcune proposte ed iniziative da promuovere.
L’accordo Ue-Turchia
Negli ultimi giorni il numero degli sbarchi in Italia ha cominciato ad accelerare e il Viminale lancia l’allarme perché i nostri centri di accoglienza sarebbero già saturi (accolgono 110.000 persone contro le 60.000 del 2013). Dopo essersi mantenuto in linea con l’andamento dell’anno scorso, dalla fine di marzo il dato relativo agli sbarchi è salito considerevolmente (+65% nelle ultime due settimane).
In Grecia, intanto, dopo l’entrata in vigore dell’accordo tra Ue e Turchia il flusso degli arrivi sembra per il momento essersi ridotto. E’ ancora troppo presto per giudicare l’efficacia dell’accordo, ma va sottolineato che da inizio anno a oggi sulle isole greche sono già sbarcate più di 152.000 persone, dato paragonabile al totale degli arrivi nel nostro paese in tutto il 2015.

Per approfondire il tema trovate in allegato il documento di analisi e critica all’accordo.
La Siria – nuovo dramma dell’umanità di Un popolo in esodo senza terra promessa tra Medio Oriente ed Europa
La Siria è arrivata al quinto drammatico anno di guerra. Il conflitto, iniziato a marzo 2011, si è ormai incancrenito in un massacro di civili, le principali vittime della lotta interna per la spartizione del potere. Un potere che fa gola ai molti, troppi, attori in gioco, dai ribelli anti-Assad ad Assad stesso e al suo esercito, alle
milizie armate jihadiste confuse in una galassia di sigle del terrore su cui svetta l’ISIS, il sedicente Stato Islamico, che controlla una vasta area nel nord della Siria, una parte della città di Aleppo con la regione di Palmira, e dell’Iraq, con la città di Raqqa come capitale. Il drammatico bilancio dei cinque anni trascorsi si
calcola in vite umane: oltre 260 mila i siriani uccisi, secondo stime approssimative, circa 8 milioni 1 le persone sfollate che all’interno del Paese cercano un rifugio da proiettili e bombe; circa 4,5 milioni 2 i rifugiati che dal 2011 hanno lasciato la loro terra e che in maggioranza si trovano nei Paesi limitrofi: Turchia,
Giordania, Libano e Iraq. Certamente i numeri contano, ma l’identificazione “uomo-numero” propria dei media, locali e internazionali, è disumanizzante. I rifugiati non sono solo statistiche aggiornate; sono volti e voci di donne, uomini, bambini e famiglie, costretti ad abbandonare le case e le cose di una vita in cerca di protezione e di libertà dal timore che impedisce di vivere una quotidianità normale.

Il primo appello è per l’aiuto immediato. Tutti, a ogni grado di responsabilità, individuale, locale, nazionale e internazionale, devono rispondere. Non è accettabile che i finanziamenti per i rifugiati stiano diminuendo.
Il secondo appello è quello definitivo, quello per la pace. È necessario insistere, chiedere, fare ”advocacy” presso i potenti di questo mondo. Ogni atto di assistenza deve contenere un atto di denuncia, per fermare la folle corsa che sembra accettare con rassegnazione, come dice Papa Francesco, una «terza guerra mondiale a pezzetti»
Il 13 febbraio 2016 una scheggia di mortaio ha ucciso Elias Abyad, un giovane volontario di 22 anni che collaborava con Caritas Siria ad Aleppo. Assieme ai tanti, troppi morti del conflitto in Siria, vogliamo ricordare la sua persona e dedicare a lui questo nostro lavoro sulla vita dei rifugiati siriani in Libano. Lo facciamo con le parole di mons. Antoine Audo, vescovo di Aleppo e presidente di Caritas Siria:
«In occasione della morte di Elias Abyad, ringrazio tutti i nostri partner della rete Caritas nel mondo. L’essere in comunione con noi ci conforta e ci aiuta, con la grazia di Dio, a rialzarci per continuare insieme la corsa. Siamo tristi e indignati per Elias, un giovane semplice e umile che lavorava con passione, con spirito di squadra e di dedizione. Ecco, ci ha lasciato in un batter d’occhio, come in un vortice di violenza e di ingiustizia, indifesi e minacciati. Ognuno dice: toccherà a me la prossima volta? È proprio questo che spinge giovani e famiglie a lasciare il Paese, malgrado il loro attaccamento alla Chiesa e alla Siria, la gioia di vivere in questo Paese, l’amicizia e l’arte di vivere da cristiani in un Paese musulmano. Piangiamo i nostri morti, ma piangiamo anche per il nostro Paese e per questa volontà diabolica di distruggere senza che ciò turbi il mondo degli interessi e dei media. Signore Gesù, in questo tempo di Quaresima e in questo anno di Misericordia, abbi pietà di noi, illuminaci e fa’ che Caritas Siria si risollevi e risponda sempre alla voce dei più poveri e vi attinga coraggio, fiducia e luce».

Migration compact
La vicenda dei profughi sta marcando sempre più la distanza fra un’idea di Europa in grado di affrontare con una sola voce le grandi sfide contemporanee, e la realtà di quella che si sta rivelando nei fatti una “unione mancata”. Stanno emergendo tante, troppe fragilità che credevamo superate o superabili con un semplice voto a Strasburgo. E invece né la commissione né tantomeno il parlamento europeo sembrano in grado di arginare questa diffusa “deriva nazionalista” che nel peggiore dei casi rispolvera il fascino dei muri, nel migliore dei casi si presenta con delle proposte “politicamente s-corrette” e di dubbia efficacia. È il caso del migration compact, la proposta del governo italiano lanciata un paio di giorni fa e presentata informalmente a Bruxelles. Ma di cosa si tratta? Innanzitutto l’idea di fondo è quella di avviare con i paesi terzi un dialogo volto alla gestione dei flussi migratori che nei fatti significherebbe dare soldi in cambio di collaborazione. In poche parole è ciò che stiamo sperimentando con la Turchia. D’altronde l’inefficacia degli strumenti sinora proposti, in primis il meccanismo della redistribuzione tra i 28 paesi UE, impone di trovare soluzioni per tenere lontano dai nostri confini coloro che vengono sbrigativamente etichettati come “massa di disperati”, quasi a sottolineare che non sono persone con la propria identità ma qualcosa di indefinito e indefinibile. Poco importa se poi si tratta di donne o bambini, di siriani o di iracheni, di medici o di contadini, di musulmani o di cristiani. L’urgenza di non farli entrare annulla qualsiasi differenza, riporta tutto ad un unicum che nessuno ha il coraggio di definire come il nemico dell’Europa. È in questa cornice che si inserisce il migration compact del governo italiano che intende intervenire attraverso lo strumento dei Ue-Africa bonds per finanziare i paesi africani, che tanto ci preoccupano in termini di flussi migratori, ed ottenere in cambio una migliore gestione dei propri confini. Un’altra misura consiste nel privilegiare la collaborazione sui migranti in tutti i programmi Ue in Africa e creare missioni regionali per gestire i flussi. Inoltre la proposta per i migranti economici è quella di istituire quote di ingresso destinate solo a chi conosce la lingua e ha frequentato corsi preparatori. Questo richiamo ai migranti qualificati appare una beffa dopo la chiusura nel 2012 delle quote annuali di ingresso che in qualche modo consentivano regolarizzazioni periodiche. A quella che appare una pretestuosa apertura fanno da contraltare le numerose scelte di chiusura: non solo muri ma anche procedure di asilo spesso lente e farraginose. In ultimo si propone di compensare i costi dei paesi africani che adotteranno il diritto di asilo per gli stranieri. Anche in questo caso l’idea di compensare economicamente chi sarà chiamato a fare da sentinella d’Europa espone gli Stati Ue a forme di ricatto inaccettabili come già sperimentammo con l’accordo Italia Libia.
Insomma un pacchetto di misure che, per chi conosce questa materia ed ha minimo di esperienza nel settore, già da ora sa che saranno difficilmente implementabili. È una consapevolezza che non nasce da un approccio ideologico ma da un sano realismo che ci porta ad affermare che il sistema delle quote se non ha funzionato per i siriani, perché dovrebbe funzionare per i nigeriani o i ghanesi o gli ivoriani che per di più sono rubricati come migranti economici? Ma non è l’unica perplessità. Tanto altro si potrebbe scrivere su questa proposta, come molte altre avanzate in questi anni, che vengono presentate con lo slogan “aiutiamoli a casa loro”.

6 Maggio 2016
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